IL BISOGNO DI CONTROLLO: LA RADICE INVISIBILE DELL’ANSIA E DEI DISTURBI OSSESSIVI

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IL BISOGNO DI CONTROLLO: LA RADICE INVISIBILE DELL’ANSIA E DEI DISTURBI OSSESSIVI

Il controllo è l’illusione suprema dell’essere umano. Tentiamo di governare l’ignoto con mappe mentali, agende digitali e previsioni del tempo. Desideriamo sapere, prevedere, dominare. Ma ciò che non possiamo dominare, spesso, finisce per dominarci. È in questo paradosso che nasce il bisogno di controllo: un motore psichico tanto potente quanto subdolo, capace di alimentare ansia, compulsioni, rigidità comportamentale e relazionale.

Il controllo come costruzione psicologica

Origine evolutiva e adattiva del controllo

Il bisogno di controllo nasce come risposta funzionale all’incertezza. In ottica evolutiva, rappresentava un meccanismo di sopravvivenza che permetteva all’individuo di anticipare pericoli e minacce. Tuttavia, nella società moderna, dove molte fonti di insicurezza sono psicologiche e non reali, questo stesso bisogno può diventare una gabbia.

 Il controllo come costruzione narrativa

Secondo Jerome Bruner, l’essere umano costruisce la realtà tramite narrazioni. Il bisogno di controllo diventa così una storia che raccontiamo a noi stessi: ‘se controllo, allora sono al sicuro’. Ma il mondo non è un copione, e l’imprevisto ne è parte integrante. Quando la realtà sfugge al nostro copione mentale, l’ansia cresce e alimenta nuove strategie rigide, che mantengono il problema.

Il controllo e la clinica dei disturbi d’ansia

Il controllo nel disturbo d’ansia generalizzato (GAD)

Nel disturbo d’ansia generalizzato, il bisogno di controllo si manifesta sotto forma di preoccupazioni costanti e pervasive. La mente tenta di anticipare ogni potenziale rischio attraverso una catena infinita di ‘e se…’. La persona crede che preoccuparsi la protegga, ma in realtà la costringe in un circolo vizioso di ansia e controllo cognitivo. Come osservato da Borkovec, il rimuginio cronico serve ad anestetizzare l’emozione, evitando immagini mentali spaventose. Ma questo stesso processo rinforza l’ansia, rendendo la persona sempre più dipendente dal pensiero anticipante.

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC): la dittatura del controllo

Nel DOC, il bisogno di controllo si cristallizza in rituali ossessivi. Il soggetto sperimenta pensieri intrusivi che giudica inaccettabili e tenta di neutralizzarli attraverso comportamenti ripetitivi. La compulsione, sebbene inizialmente lenitiva, diventa col tempo la causa del disagio. Come sottolineato da Salkovskis, la convinzione disfunzionale centrale è che non controllare le proprie azioni o pensieri possa portare a conseguenze catastrofiche. Il senso di responsabilità ipertrofico obbliga la persona a intervenire costantemente, impedendole di sperimentare l’inevitabilità e l’innocuità dell’incertezza.

 Le tentate soluzioni disfunzionali del controllo

Secondo la teoria della Terapia Breve Strategica, i problemi persistono non a causa della loro origine, ma per le soluzioni che vengono ripetutamente adottate per gestirli. Nel caso del bisogno di controllo, tali soluzioni diventano parte integrante del problema, strutturandolo e rinforzandolo inconsapevolmente. In altre parole, è il tentativo stesso di controllare a generare la perdita di controllo percepita.

Tra le strategie più frequentemente osservate vi sono: l’evitamento, il monitoraggio continuo di sé e degli altri, la ricerca costante di conferme, la ritualizzazione e l’analisi iper-razionale delle situazioni. Ciascuna di queste risposte viene inizialmente messa in atto per placare l’ansia, ma alla lunga aggrava la rigidità del sistema comportamentale e cognitivo.

L’evitamento rinforza l’idea che certi stimoli siano pericolosi, il controllo sugli altri compromette le relazioni interpersonali, le routine diventano gabbie dorate, e l’analisi eccessiva trasforma la mente in un tribunale dove ogni pensiero viene giudicato. In questo modo, il bisogno di controllo alimenta se stesso: ogni fallimento del controllo attiva nuovi sforzi per controllare, che falliranno nuovamente, perpetuando il circolo vizioso.

 Strategie di intervento nella terapia breve strategica

Uno dei pilastri della Terapia Breve Strategica è il ribaltamento delle soluzioni tentate che alimentano il problema. Nel caso del bisogno di controllo, il terapeuta utilizza strategie paradossali per disinnescare le rigidità cognitive e comportamentali, aiutando il paziente a sperimentare nuove modalità di relazione con l’incertezza.

Una tecnica classica è la prescrizione del sintomo: chiedere alla persona di preoccuparsi in modo programmato. ‘Dedichi ogni giorno 15 minuti a preoccuparsi il più intensamente possibile’. Questo approccio paradossale destruttura l’automatismo del pensiero e lo colloca in uno spazio temporale delimitato, riducendo la sua invasività.

Un’altra tecnica è l’escalation del sintomo, dove il terapeuta chiede di aumentare volontariamente i comportamenti di controllo: ‘Ripeta il rituale dieci volte anziché tre’. Questo genera una saturazione e spesso un rifiuto spontaneo del comportamento disfunzionale.

 Approccio cognitivo-comportamentale al bisogno di controllo

La terapia cognitivo-comportamentale affronta il bisogno di controllo agendo su credenze e comportamenti disfunzionali. La ristrutturazione cognitiva permette di mettere in discussione convinzioni come ‘devo sapere tutto per essere al sicuro’ o ‘se non controllo, succederà qualcosa di grave’.

Le tecniche di esposizione con prevenzione della risposta (ERP) si rivelano particolarmente efficaci nei disturbi ossessivi. Il paziente viene esposto alla situazione temuta senza mettere in atto il comportamento di controllo. Questo permette un apprendimento esperienziale della non-catastroficità dell’evento temuto.

Anche gli approcci basati sulla mindfulness (MBCT, ACT) sono utili per intervenire sul bisogno di controllo, insegnando l’accettazione della realtà senza giudizio e favorendo un atteggiamento di apertura verso l’incertezza.

Il paradosso terapeutico e il cambiamento strategico

Il cambiamento strategico non si ottiene forzando la rinuncia al controllo, bensì accompagnando la persona in un processo esperienziale che la conduca a sperimentare nuove modalità di interazione con il problema. Quando il terapeuta prescrive il sintomo, ad esempio, non chiede di rinunciare al controllo, ma paradossalmente di esercitarlo entro una cornice ritualizzata e funzionale. In questo modo si crea una dissonanza tra intenzione e comportamento, che può produrre un insight profondo. Il bisogno di controllo, così ritualizzato, perde il suo potere coercitivo e si trasforma in un elemento osservabile, e dunque modificabile.

 Esposizione, disconferma e neuroplasticità

L’efficacia delle tecniche di esposizione con prevenzione della risposta risiede nella loro capacità di generare una disconferma esperienziale della previsione catastrofica legata al mancato controllo. Esporsi significa sfidare la convinzione che l’ansia sia insostenibile e che solo il controllo la possa sedare. La mente, esposta in modo sistematico e ripetuto, apprende attraverso il meccanismo della neuroplasticità che può tollerare l’incertezza senza che si verifichi il disastro temuto. Questo processo neurocognitivo è alla base del riadattamento della risposta ansiosa e del progressivo indebolimento del bisogno di controllo.

Dal controllo all’affidamento

Superare il bisogno di controllo non significa abbandonarsi passivamente al caos, ma imparare a distinguere ciò che può essere gestito da ciò che deve essere accettato. In questo senso, il passaggio cruciale è dall’illusione di onnipotenza al riconoscimento della finitudine. L’affidamento non è resa, ma esercizio consapevole di flessibilità, una forma di saggezza che riconosce i limiti dell’intervento umano. In ambito clinico, tale trasformazione si manifesta nella capacità del paziente di sostituire l’automatismo del controllo con un atteggiamento di apertura e disponibilità all’esperienza emotiva, anche se incerta o scomoda.

Il controllo come illusione adattiva

Storicamente, il controllo ha rappresentato per l’essere umano uno strumento di previsione e prevenzione. Tuttavia, la nostra mente tende a generalizzare i meccanismi adattivi fino a renderli rigidi e disfunzionali. Il bisogno di controllo, inizialmente utile a regolare la relazione tra organismo e ambiente, può trasformarsi in una lente deformante attraverso cui ogni stimolo viene interpretato come potenzialmente pericoloso.

La mappa non è il territorio

Nella clinica dell’ansia, il bisogno di controllo assume spesso la forma di una mappa mentale che dovrebbe guidare il soggetto nella gestione del mondo. Ma come diceva Korzybski, la mappa non è il territorio. La realtà non è mai pienamente prevedibile, e il tentativo di ridurla a uno schema prevedibile può generare frustrazione, ansia e un senso cronico di inadeguatezza. Le previsioni falliscono, i piani saltano, e ciò che resta è una vulnerabilità amplificata dalla sensazione di aver perso il controllo.

 Il ciclo vizioso delle soluzioni che falliscono

Ogni comportamento messo in atto per controllare l’ansia viene presto vissuto come indispensabile. Questo genera un effetto rebound: più si cerca il controllo, più si teme la perdita di esso. Le tentate soluzioni non solo non risolvono, ma diventano esse stesse il problema. Come dimostrano le ricerche sulla teoria del doppio legame di Bateson, quando il messaggio implicito è ‘devi rilassarti, ma solo se riesci a controllare tutto’, il soggetto rimane intrappolato in una tensione paradossale da cui può uscire solo con un cambio di logica operativa, non con maggiore sforzo.

Conclusione

Il bisogno di controllo è una delle illusioni più potenti della mente moderna. Alimentato dalla paura, giustificato dalla razionalità, esso diventa una prigione auto-costruita. Intervenire significa prima di tutto disinnescare le tentate soluzioni che lo rinforzano. Solo imparando a lasciar andare, a tollerare l’imprevedibilità e a convivere con il dubbio, possiamo davvero liberarci dalla tirannia del controllo.

Bibliografia

– Borkovec, T. D., & Newman, M. G. (1998). Worry and generalized anxiety disorder: A review of the theory and evidence.
– Salkovskis, P. M. (1985). Obsessional-compulsive problems: A cognitive-behavioral analysis.
– Bruner, J. (1990). Acts of meaning.
– Nardone, G., & Watzlawick, P. (1997). L’arte del cambiamento.
– Hayes, S. C., Strosahl, K. D., & Wilson, K. G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy.
– Kabat-Zinn, J. (1990). Full Catastrophe Living.

 

Simona Lauri
Simona Lauri
Simona Lauri
Psicologa e psicoterapeuta breve strategica. Oltre che offrire interventi di psicoterapia breve, mi occupo di coaching alimentare e sportivo.

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